Un diritto alla settimana: verso la Marcia per la Pace. Articolo 5

Il 2015 è stato un “anno nero per i diritti umani nel mondo”: queste le parole del segretario generale di Amnesty International Salil Shetty durante la presentazione del Rapporto 2015/2016 dell’organizzazione.
Con questo post dedicato all’Articolo 5 della Dichiarazione universale dei diritti umani, proviamo nel nostro piccolo a stimolare una riflessione, grazie all’aiuto di diverse fonti (tra cui lo stesso rapporto di Amnesty), sullo stato attuale dei diritti e delle liberta fondamentali in Italia e nel mondo.


Articolo 5

Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti.


Alcuni spunti di riflessione.

Il film In the name of the father (1994):
Il film racconta la storia vera di Gerry e di suo padre Giuseppe. Nel 1974, insieme all’amico Paul Hill, Gerry fu ingiustamente accusato di aver compiuto un attentato in un pub di Guildford che provocò cinque morti. Nel pieno della guerra civile tra cattolici e protestanti nell’Irlanda del Nord e delle leggi antiterrorismo che concedevano ampi poteri alle forze dell’ordine, ai due sospetti vengono estorte false confessioni con sevizie e torture. Il processo si conclude con pesanti condanne detentive, estese anche ad amici e parenti, fra cui il padre di Gerry. Solo 15 anni dopo verranno tutti riconosciuti innocenti e scarcerati.

Massimo Marnetto, Associazione Articolo 21 (2 maggio 2014):
“E’ punita ogni violenza fisica e morale sulle  persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”. Il divieto di tortura è previsto nella Costituzione (art. 13), ma non nel nostro codice penale, nonostante l’Italia abbia sottoscritto il relativo protocollo ONU nel 2003 e ratificato con ben dieci anni di ritardo. La mancanza del reato contro la tortura non è solo una lacuna normativa: è il segno di un ritardo civile. Lo si vede nei troppi episodi di violenza (intenzionale) di elementi “furiosi” delle forze dell’ordine, che provocano omicidi giudicati colposi (non intenzionali). Come cittadini non possiamo più tollerare questa situazione in silenzio, se non vogliamo diventarne complici.

“Alla Diaz fu tortura” da Il Fatto Quotidiano (2015)
Quattordici anni dopo gli eventi di Genova, la Corte di Strasburgo condanna l’Italia per tortura per i fatti della Diaz al G8 di Genova. Secondo i giudici, è stato violato l’articolo 3 della convenzione europea dei diritti umani sul “divieto di tortura e di trattamenti disumani o degradanti”. La sentenza dice anche che il nostro Stato, ancora, non ha una legge per punire questi reati.

Amnesty international, Rapporto 2015/2016 presentato dal segretario generale Salil Shetty il 24 Febbraio 2016 (Articolo del Fatto Quotidiano)
Il 2015 “è stato un anno nero per i diritti umani nel mondo” che sono in pericolo perché “considerati con profondo disprezzo da molti Governi del mondo”. “Milioni di persone stanno patendo enormi sofferenze nelle mani degli stati e dei gruppi armati, mentre i governi non si vergognano di descrivere la protezione dei diritti umani come una minaccia alla sicurezza, alla legge, all’ordine e ai valori nazionali” ha ammonito Shetty, secondo cui la protezione internazionale dei diritti umani rischia di essere compromessa da interessi egoistici nazionali di corto respiro e dell’adozione di “misure draconiane di sicurezza” che hanno portato a un “assalto complessivo ai diritti e alle libertà fondamentali”.

La denuncia di Amnesty si focalizza soprattutto su quei governi che “hanno violato in modo sfacciato il diritto internazionale nel loro contesto interno”. Secondo le informazioni raccolte dall’organizzazione internazionale per i diritti umani nel 2015 sono almeno 122 gli Stati che “hanno praticato maltrattamenti o torture” mentre 30 Paesi hanno “rimandato illegalmente” i rifugiati nei loro paesi d’origine, dove sarebbero stati in pericolo. Il rapporto procede poi denunciando la situazione di almeno 19 tra paesi, governi e gruppi armati che “hanno commesso crimini di guerra o altre violazioni delle leggi di natura”.

Secondo Amnesty, in questo attacco mondiale ai diritti, i governi sono disposti a violare le loro stesse leggi e aggirare le istituzioni che essi stessi hanno creato per proteggerli, minate anche dalla riduzione mirata dei finanziamenti: in molti casi, poi, chi si batte per la difesa dei diritti umani viene “ridotto al silenzio“, in un “palese tentativo di rendere i diritti umani parole sporche”.

La situazione italiana: dieci punti su cui intervenire
La sezione italiana di Amnesty International porta avanti un programma di attività sui diritti umani nel paese che fa riferimento a un’agenda in 10 punti, nata all’inizio del 2013: un vero e proprio “documento politico”, come lo definisce l’organizzazione, che contiene le richieste al sistema giuridico e politicoitaliano da adempiere per adeguarsi al pieno rispetto dei diritti umani.

A tre anni di distanza però “le risposte delle istituzioni appaiono deludenti” ha confessato il presidente italiano, Antonio Marchesi. Le azioni messe a punto nell’agenda richiedono all’Italia di intervenire in aree che presentano ancora numerose lacune nel raggiungimento del pieno rispetto dei diritti umani: innanzitutto l’esigenza di introdurre il reato di tortura e di garantire la trasparenza delle forze di polizia per impedire i numerosi casi di abuso registrati nel Paese. A questi si aggiunge l’esigenza, quanto mai attuale, di fermare il femminicidio e la violenza contro le donne, di proteggere i rifugiati, fermandone lo sfruttamento e la discriminazione e bloccando la criminalizzazione dei migranti. Assicurare condizioni dignitose e rispettose dei diritti umani nelle carceri, troppo spesso sovraffollate. Combattere l’omofobia e la transfobia e garantire tutti i diritti umani alle persone Lgbt: in questo caso, per Amnesty l’approvazione delle unioni civili potrebbe essere un primo grande passo avanti per l’Italia e un modo per equipararsi alle leggidegli altri paesi dell’Unione Europea. L’auspicio infatti è che l’iter parlamentare per l’approvazione del ddl Cirinnà vada avanti e si concluda con il riconoscimento degli stessi diritti per le unioni tanto eterosessuali quando omosessuali.

Infine l’esigenza di fermare la discriminazione, gli sgomberi forzati e la segregazione etnica messa in atto nei confronti dei rom. Per far si che i diritti umani siano rispettati è necessario creare un’istituzione nazionale indipendente che possa assicurare la protezione di questi diritti e imporre alle aziende italiane il loro pieno rispetto. Agli impegni a livello nazionale si aggiungono poi quelli mondiali, contenuti nella necessità di lottare contro la pena di morte nel mondo, promuovere i diritti umani nel rapporto con gli altri Stati e rispettare gli standard internazionali e nazionali sul commercio delle armi.

Le violazioni nei diversi stati: dagli Usa all’Egitto
Nell’elenco dei paesi “denunciati” da Amnesty gli Stati Uniti, con il centro di detenzione di Guantanamo ancora aperto, nonostante la promessa fatta da Obama nel 2008 e rinnovata ieri al Congresso: al momento infatti, nel penitenziario situato nella base navale americana sull’isola di Cuba, ci sono ancora 91 detenuti e circa 2000 tra civili e personale delle forze armate statunitensi. A questo si aggiunge la completa assenza di procedimenti giudiziari nei confronti degli autori di torture e sparizioni forzate.

Nel mirino dell’organizzazione anche il Regno Unito a causa dell’uso continuo della sorveglianza di massa per la lotta al terrorismo e i passi indietro per evitare lo scrutinio della Corte europea dei diritti umani. Israele e Palestina rientrano nel rapporto per il mancato rispetto della richiesta delle Nazioni Unite di indagare seriamente sui crimini di guerra commessi durante il conflitto a Gaza nel 2014, a cui si aggiunge il mantenimento delblocco militare da parte di Israele nei confronti di Gaza. L’Egittosegue con migliaia di arresti per chiunque esprima dissenso e per le centinaia di condanne a morte, accompagnate da migliaia di detenzioni prolungate di centinaia di persone, arrestate senza accuse né processi.

L’adozione di leggi indiscriminate in nome della sicurezza nazionale e la repressione contro i difensori dei diritti umani accomunano poi la Cina e la Russia. A quest’ultima si aggiunge l’accusa di aver ucciso almeno 600 civili in Siria e colpito almeno 12 strutture mediche in zone controllate o contese da gruppi armati non statali, accompagnati dal rifiuto di riconoscere le vittime civili di questi attacchi e i tentativi, attuati con mosse spietate, di fermare l’azione del Consiglio di sicurezza sulla Siria. Crimini di guerra, repressione di chiunque critichi o chieda riforme e ostacolo al lavoro delle Nazioni Unite segnano anche il comportamento dell’Arabia Saudita, protagonista anche dei bombardamenti in Yemen. Presente anche il Messico, con 27 mila persone scomparse improvvisamente e il massiccio ricorso alla tortura, quasi sempre impunito nonostante le denunce.

Il conflitto in Siria: “Esempio del fallimento delle Nazioni Unite”
La guerra in Siria è “uno degli orribili esempi del sistematico fallimento delle Nazioni Unite nel tenere fede al loro ruolo vitale nel rafforzamento dei diritti umani e nel chiamare a rispondere i responsabili delle violazioni”. La denuncia di Amnesty si accompagna a un monito per il futuro Segretario generale, che sarà eletto quest’anno per entrare in carica a gennaio 2017 e che “erediterà un’organizzazione che ha raggiunto molti risultati ma che ha un disperato bisogno di un nuovo vigore“. Per questo motivo l’organizzazione chiede agli Stati membri e al consiglio di Sicurezza di “mostrare coraggio nel pensare a nuove riforme, a partire dal modo in cui sarà eletto il nuovo segretario generale”. Oltre alla Russia Amnesty lancia poi accuse nei confronti del Pyd, il Partito curdo dell’Unione democratica, colpevole di sfollare i cittadini che vivono nel nord della Siria. Alla formazione curda è contestato di aver “forzatamente sfollato gli abitanti di dieci villaggi e città e di aver impedito agli abitanti di Suluk di tornare nelle loro case a luglio”.  Il Pyd è anche accusato di far uso di bambini soldato, di aver compiuto arresti arbitrari e processi non equi di sospetti sostenitori di altri gruppi armati.

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