Un diritto alla settimana: verso la Marcia per la Pace. Articolo 19


 Articolo 19

Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione,  incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, riceve e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.


Spunti di riflessione.

  • Articolo 19 – Né bavagli né molestie. Tratto dal commento del prof. Antonio Papisca, Cattedra UNESCO Diritti umani, democrazia e pace presso il Centro interdipartimentale sui diritti della persona e dei popoli dell’Università di Padova

Il precedente articolo 18 proclama il diritto alla libertà di pensiero quale diritto per così dire propedeutico alla possibilità di formarsi un’opinione disponendo delle necessarie informazioni. L’articolo 19  proclama che il diritto è anche ad esprimere e diffondere pubblicamente le proprie idee e opinioni. Come dire: niente bavagli! Il corrispondente obbligo è: non molestare.

Nel Patto internazionale sui diritti civili e politici, l’articolo omologo porta lo stesso numero 19,  è però più specifico per quanto attiene all’articolazione operativa del diritto: “1. Ogni individuo ha diritto a non essere molestato per le proprie opinioni. 2. Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione: tale diritto comprende la libertà di cercare, riceve e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere, oralmente, per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta”.

“Idee di ogni genere”, con diritto alla libertà di esprimerle in tante forme: in un libro, in una trasmissione televisiva, durante una lezione a scuola, in una composizione musicale, in una commedia teatrale. L’”Inno alla gioia” contenuto nella Nona sinfonia di Beethoven esprime idee di fraternità e di pace ed è assunto a simbolo di unità sia dal Consiglio d’Europa sia dall’Unione Europea. Idee e opinioni si esprimono anche in forma umoristica. Ci sono idee e opinioni che arricchiscono il patrimonio culturale, la loro comunicazione fa star bene. Altre idee sono come proiettili. Ci sono idee e informazioni che vengono diffuse allo scopo di coltivare ‘omologazione’, cioè appiattimento di menti e inquinamento di coscienze. Taluni grandi mass media, non propriamente indipendenti, comunicano idee e diffondono informazioni di forte impatto sull’opinione pubblica. I dittatori sono ottimi comunicatori di idee. I capi dei fondamentalismi sono anche essi ottimi comunicatori. La concentrazione dei mezzi di comunicazione in capo ad uno stesso proprietario può preludere a forme, più o meno striscianti, di autoritarismo.

Nel 1980, la Conferenza generale dell’Unesco varò un importante documento per la costruzione di un Nuovo Ordine Internazionale dell’Informazione e della Comunicazione (partendo dal famoso Rapporto McBride) nell’intento di rompere il nefasto oligarchismo delle multinazionali dell’informazione. Fu questa una delle ragioni che indussero l’Amministrazione degli Stati Uniti, seguita dal Governo inglese, a uscire dall’Unesco (vi sono rientrati dopo un decennio di assenza).

Idee e informazioni, sempre e comunque, in libera uscita? Il vigente Diritto internazionale dei diritti umani pone esso stesso dei paletti. Il terzo comma dell’articolo 19 del Patto internazionale sui diritti civili e politici stabilisce che “l’esercizio della libertà previste al paragrafo 2 comporta doveri e responsabilità speciali. Esso può essere pertanto sottoposto a talune restrizioni che però devono essere espressamente stabilite dalla legge ed essere necessarie: a) al rispetto del diritto o della reputazione altrui; b) alla salvaguardia della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico, della sanità o della morale pubblica”.

Le legislazioni interne agli stati disciplinano minuziosamente la materia. Ci sono anche codici deontologici per i professionisti dell’informazione.
Si pensi in particolare ai danni che la diffusione di certe idee e di certe informazioni può provocare nella mente dei bambini. Al riguardo, l’articolo 17 della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia dispone perentoriamente:
“Gli Stati Parti riconoscono l’importanza della funzione esercitata dai mass-media e vigilano affinché il fanciullo possa accedere ad una informazione ed a materiali provenienti da fonti nazionali ed internazionali varie, soprattutto se finalizzati a promuovere il suo benessere sociale, spirituale e morale nonché la sua salute fisica e mentale. A tal fine, gli Stati Parti:
a) incoraggiano i mass-media a divulgare informazioni e materiali che hanno una utilità sociale e culturale per il fanciullo e corrispondono allo spirito dell’art. 29;
b) incoraggiano la cooperazione internazionale in vista di produrre, di scambiare e di divulgare informazioni e materiali di questo tipo provenienti da varie fonti culturali, nazionali ed internazionali;
c) incoraggiano la produzione e la diffusione di libri per l’infanzia;
d) incoraggiano i mass-media a tenere conto in particolar modo delle esigenze linguistiche dei fanciulli autoctoni o appartenenti ad un gruppo minoritario;
e) favoriscono l’elaborazione di princìpi direttivi appropriati destinati a proteggere il fanciullo dalle informazioni e dai materiali che nuocciono al suo benessere in considerazione delle disposizioni degli articoli 13 e 18”.

A conclusione di questa sintetica riflessione, è spontaneo richiamare ancora una volta la Dichiarazione delle Nazioni Unite (1998) “sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di promuovere e proteggere i diritti umani e le libertà fondamentali internazionalmente riconosciuti”. Cito alcuni articoli di questa Magna Charta dei difensori dei diritti umani che hanno più diretta attinenza al contenuto dell’articolo 19 della Dichiarazione universale.
Articolo 6: “Tutti hanno il diritto, individualmente e in associazione con altri: a) di conoscere, ricercare, ottenere, ricevere e detenere informazioni riguardo a tutti i diritti umani e le libertà fondamentali, incluso l’accesso alle informazioni sul modo in cui si dia effetto a tali diritti e libertà nei sistemi legislativi, giuridici o amministrativi interni; b) in conformità con quanto previsto  negli strumenti internazionali sui diritti umani, di pubblicare liberamente, comunicare o distribuire ad altri opinioni, informazioni e conoscenze su titti i diritti umani e le libertà fondamentali; c) di studiare, discutere, formulare ed esprimere opinioni sull’osservanza, sia nella legge che nella pratica, di tutti i diritti umani e, attraverso questi ed altri mezzi appropriati, di attirare la pubblica attenzione su questa materia”.
Articolo 7: “Tutti hanno diritto, individualmente ed in associazione con altri, di sviluppare e discutere nuove idee e principi sui diritti umani e di promuovere la loro accettazione”.

  •  Il Rapporto MacBride tratto da lacomunicazione.it

Il concetto di ‘diritto alla comunicazione’ è stato il fondamento morale di buona parte del pensiero sulle politiche della comunicazione pubblica. Nell’ambito del dibattito ideologico del sec. XX, il pensiero sui diritti umani si è affermato come linguaggio di una moralità pubblica e ha raccolto consensi sempre più vasti, anche se con sfumature di significato diverse a seconda dei diversi gruppi di individui. Nella prima metà del secolo appena concluso, le affermazioni sui diritti umani erano una forma di difesa contro lo stato totalitario. Questo è certamente lo sfondo della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti Umani Universali. I diritti umani sono anche simbolo di resistenza e di forza morale contro ideologie culturali oppressive come l’apartheid. Oggi i diritti umani – incluso il diritto alla comunicazione – sono un riferimento morale e legale per proteggere lo spazio della libertà umana dinanzi a nuove forme di asservimento alla razionalità strumentale: le politiche economiche neoliberali, le imprese sempre più grandi e potenti, l’invasione di sistemi di comunicazione controllati centralmente.
Il più esaustivo e quasi ufficiale documento sul diritto alla comunicazione è il “Rapporto della Commissione Internazionale per lo studio dei problemi della comunicazione” promosso dall’Unesco, meglio noto come “Rapporto MacBride” dal nome del presidente della Commissione, Sean MacBride, che in precedenza era stato ministro degli Affari Esteri della Repubblica d’Irlanda e insignito del Premio Nobel (1974) e del Premio Lenin (1977) per la Pace. Significativamente, il diritto alla comunicazione è descritto nel capitolo sulla “Democratizzazione della Comunicazione” come elemento essenziale per la trasformazione dei sistemi di comunicazione pubblica.
Il R.M.B. sottolinea che il diritto alla comunicazione “supera quello di ricevere la comunicazione o di essere informato. La comunicazione è dunque considerata come un processo bidirezionale i cui agenti – individuali e collettivi – intrattengono un dialogo democratico ed equilibrato”.
Il documento fornisce (p. 249-250) la seguente definizione di questo diritto:
“Ognuno ha il diritto a comunicare. Gli elementi che compongono questo diritto fondamentale dell’uomo comprendono i seguenti diritti, che non sono in alcun modo limitativi: a) il diritto d’assemblea, di discussione, di partecipazione e altri diritti d’associazione; b) il diritto di porre domande, d’essere informato, d’informare e altri diritti d’informazione; c) il diritto alla cultura, il diritto di scegliere, il diritto alla vita privata e altri diritti relativi allo sviluppo dell’individuo”. Per rispettare il diritto a comunicare, afferma ancora il rapporto (facendo riferimento al documentoAn emergent communication policy science: content, rights, problems and methods, di L.S. Harms, Dipartimento di Comunicazione, Università di Haway, Honolulu), “sarebbe necessario poter disporre delle risorse tecniche atte a soddisfare le esigenze dell’umanità”.

  • Film La regola del gioco, Regia di Michael Cuesta  (2014)

Quando la pupa di un boss del narcotraffico avvicina il reporter Gary Webb(premio Pulitzer), l’ultima cosa a cui questi pensa è di essere vicino a uno scoop sensazionale. E invece, risalendo la catena alimentari degli spacciatori nicaraguensi arriva a scoprire un verità che scotta: la CIA consentiva o agevolava lo spaccio negli Stati Uniti per finanziare i Contra in chiave anti-sandinista. Quando Webb pubblica il suo dossier il bubbone scoppia: prima piovono consensi ed elogi, ma ben presto la CIA passa al contrattacco e la vita privata e professionale di Webb diventa insostenibile.
Una storia molto più che interessante: una sferzata sull’addome di zio Sam, che colpisce là dove il dolore è maggiore. Una delle pagine più oscure della cosiddetta esportazione della libertà statunitense, che, di fronte al rischio tangibile di un Centro America sempre più comunista, ha fatto ricorso a ogni tipo di mezzo, legale o illegale, per arrestare l’ondata. Ma il risvolto più doloroso dell’inchiesta di Gary Webb riguarda le vittime sacrificali del meccanismo, le solite: i neri di South Central, L.A., i più disagiati e bisognosi in generale, offerti in pasto alla servitù della droga pur di ungere la macchina dell’anti-comunismo. Di fronte a una verità così scomoda non si fatica a comprendere le ragioni della persecuzione della CIA ai danni di Gary Webb. Ma è solo uno degli elementi su cui si concentra l’attenzione della trasposizione cinematografica del libro di Nick Schou, affidata alla regia di Michael Cuesta: la pubblicazione di Dark Alliance, il casus belli giornalistico, avviene circa a metà film e pari attenzione viene dedicata allo sviluppo dell’indagine e alle conseguenze della pubblicazione del dossier.

  •  Aristofane (450 a.C. – 388 a.C.), commediografo greco

 “Ingiuriare i mascalzoni con la satira è cosa nobile. A ben vedere significa onorare gli onesti”.

  •  La libertà di parola non è divisibile per questo difendo il diritto di satira di Salman Rushdie,  – tratto da una “lecture” presso la University of Vermont e pubblicato su Libertà e Giustizia (18 gennaio 2015)

L’arte della satira è forza di libertà contro la tirannia e la disonestà. Non posso dire che tutti i miei libri rientrino in questa categoria, ma alcuni, sì. Il mio romanzo La vergogna è probabilmente il romanzo più direttamente satirico da un punto di vista politico che abbia scritto ed è piuttosto dura, la satira di questo romanzo. Eppure è un libro di cui sono fiero: stranamente, un quarto di secolo dopo, lo sento quasi più attuale di quando l’ho scritto, per come è andato il mondo. Essere uno scrittore, è un po’ come essere un compositore, devi comporre per un’orchestra. A volte scrivi di più per gli archi, a volte di più per la tastiera… Succede lo stesso quando si scrive. Non si scrive sempre per la stessa parte dell’orchestra, no-

La satira è uno degli strumenti ed è molto importante, e in realtà nella storia della Francia è stata estremamente importante giàdai tempi della rivoluzione francese. Alcuni dei primi potenti pezzi satirici della storia francese furono i fogli che attaccavano Maria Antonietta che aveva incoraggiato il popolo a mangiare dolci di certo perniciosi per la sua salute. Una sorta di satira senza glutine ante litteram. Ma la tradizione satirica francese è sempre stato molto puntuta e molto dura. E lo è ancora.

Quello che davvero non sopporto è il modo in cui questi nostri compagni morti, queste persone che sono morte usando lo stesso strumento che uso io, ovvero una penna o una matita, sono state quasi immediatamente denigrate e definite razziste e non so che altro. È un crimine terribile contro la loro memoria. Io non li conoscevo bene, ma ho incontrato il direttore di Charlie Hebdo. Non c’è nessuno meno razzista di lui. Forse aveva altri difetti, era un comunista, un membro comunista dell’estrema sinistra in Francia, e descriverlo come un uomo di destra è una bella distorsione.

Charlie Hebdo attaccava tutto. Ha attaccato i musulmani, ha attaccato il Papa, Israele, i rabbini, neri e bianchi, omosessuali ed eterosessuali. Ha attaccato ogni tipo di essere umano, e perche? Per sfottere. La sua strategia era quella di prendere in giro la gente ed era vista in questo senso. Eramolto amato. Questidisegnatori erano adorati in Francia. Wolinski, un anziano signore, era un grande vecchio della cultura francese.

Adesso assistiamo all’ascesa di quello che ho definito il gruppo del “ma”. Sono stufo di questo dannato gruppo del “ma” e quando sento qualcunodire «sì, credo nellalibertà di parola, ma… «smetto di ascoltare. «Credo nella libertà diparola, ma la gente dovrebbe comportarsi bene». «Credo nella libertà di parola, ma non dobbiamo offendere nessuno». «Credo nella libertà di parola, ma cerchiamo di non andare troppo lontano». Il punto è che se si limita la libertà di parola non è più libertà di parola. Il punto è che è libera. Sia Kennedy che Mandela hanno usato la stessa frase di tre parole che per me dice tutto, e cioè che la libertà è indivisibile. Non puoi farla a fette altrimenti cessa di essere libertà.

Puoi non avere simpatia per Charlie Hebdo. Non tutti i loro disegni sono divertenti. Ma il fatto che non ti piacciano non ha nulla a che fare con il Ior o dir itto di parlar e. Il fatto che non ti piacciano di certo non giustifica in alcun modo il loro omicidio. E l’idea che a pochi giorni da questo omicidio, alcuni settori della sinistra o della destra si siano rivolti contro questi artisti caduti per denigrarli, è, a mio parere, una vergogna.

  • Libertà di satira non di razzismo di Roberto Saviano, pubblicato su L’Espresso (24 luglio 2015)

DOVE FINISCE LA LIBERTÀ di espressione e iniziano le minacce? Qual è il confine tra ciò che l’individuo può permettersi di dire e ciò che dovrebbe tacere?

Dopo la strage alla redazione di “Charlie Hebdo” tutti abbiamo preso posizione in favore della libertà di espressione e moltissimi quotidiani, riviste e siti internet hanno pubblicato le vignette di Cabu, di Tignous e di Wolinski per dimostrare che non esiste censura possibile, che il sangue non ferma la satira.

In quei mesi mi trovavo negli Stati Uniti dove accanto al grido di dolore «Je suis Charlie» c’è stato anche chi non ha ripubblicato le vignette di Cabu, Tignous e Wolinski in nome di un politicamente corretto che nel nuovo continente segue regole con le quali io spesso non mi trovo d’accordo, ma che vale la pena conoscere, perché le nostre prese di posizione siano sempre frutto di ragionamento e mai di pigrizia, di mera voglia di seguire l’onda. Regole che sono il frutto di una convivenza che deve essere pacifica tra culture diversissime in aree urbane dove spesso le differenze diventano l’unico segno distintivo, ciò che ricorda a ciascuna comunità le proprie origini. Dove la differenza viene vissuta come un plusvalore, come unico legame rimasto con il proprio sangue.

Questo l’Europa lo sta sperimentando ora. E lo sta sperimentando nella prima lunga fase pacifica della propria storia. Eppure la memoria di ciò che sono state le due grandi guerre del Novecento è nella carne, anche nella nostra, e quello che resta è ciò che il Nuovo Mondo non può avere: la necessità di voler scrivere, dire, urlare che tutti sono liberi di essere quel che sono nel rispetto delle origini di ciascuno, e allo stesso tempo la libertà di poter essere leggeri, di poter rendere tutto oggetto di satira.

Questa libertà è quanto di più prezioso possa esserci quando si sono sperimentati governi che hanno reso la satira illegale e hanno eliminato, fisicamente eliminato, chiunque provasse a mettere in discussione il potere con il sorriso. Ma questa libertà ha un solo limite, fondamentale, irrinunciabile, pena la dannazione e conseguenza il ritorno a un’epoca nera: la discriminazione. Le ferite dell’esperienze nazista e fascista ci hanno lasciato questa unica grande paura, quella di non voler mai più sentire o leggere offese a persone che sono di un’altra nazionalità, che hanno una diversa origine o che professano una diversa religione. E soprattutto, offese che poi come conseguenza prevedono l’allontanamento, la reclusione o addirittura lo sterminio. Si può prendere in giro chiunque, perché l’ironia serve a smussare gli spigoli, a notare eccessi, che nella convivenza vanno necessariamente ridimensionati, ma la linea di demarcazione la fanno le intenzioni.

È NOTIZIA DI QUESTI GIORNI il rinvio a giudizio di 25 persone con l’accusa di odio razziale; erano tutti animatori del sito internet neonazista Stormfront che negli scorsi anni più volte ha preso di mira extracomunitari e chi fosse a favore di politiche di accoglienza, la comunità ebraica e chi avesse origini ebraiche. Con me poi hanno trovato la summa di ciò che ritengono massimamente detestabile e le accuse quotidiane erano le solite: ebreo (usato come insulto) e sionista (perché parlo di pace, di due popoli e due stati). Mi odiano perché invoco lo Ius soli per i cittadini stranieri che nascono, studiano, vivono, lavorano e amano nel nostro paese.

IN TELEVISIONE raccontai la storia, bellissima e commovente, di Yvan Sagnet un giovane camerunense innamorato dell’Italia che studiava ingegneria al Politecnico di Torino e d’estate partecipava alla raccolta dei pomodori in Puglia. Yvan è un ragazzo istruito e grazie a lui molti extracomunitari sono riusciti a ribellarsi e denunciare le condizioni di vita nei campi, una moderna, ingiustificabile e vergognosa schiavitù. Dopo quell’intervento in tv sul sito Stormfront apparve questo commento «L’ebreo Saviano vuole candidare un nero come sindaco di Castelvolturno». Non c’è ironia in questa frase, non è satira, non prende in giro me, né Yvan. Ecco perché mi sono costituito parte civile in questo processo, perché sono convinto che ogni individuo sia libero di esprimere il proprio pensiero, ma esiste una linea, che si ferma davanti a cicatrici che si stanno rimarginando ora. Il nostro compito è di vegliare su quelle ferite, medicarle e fare in modo che mai più nessuno possa permettersi di infettarle dicendosi superiore. Non esistono razze superiori, solo individui stupidi, ignoranti e pericolosi.

  • La Costituzione Italiana

Costituzione della Repubblica italiana Art. 21: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili. Il tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denuncia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro si intende revocato e privo d’ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni. La libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero, connotato fondamentale di ogni sistema democratico, va qui intesa in riferimento sia alla libertà di esprimere le proprie opinioni (pluralismo ideologico) sia alla libertà di informazione (cioè di informare e di essere informati). Perciò viene preso in considerazione non soltanto l’uso della parola e dello scritto, ma anche “ogni altro mezzo di diffusione” (quindi la radio, la televisione, il cinema, le riproduzioni audiovisive, Internet…). Tuttavia, l’articolo detta norme specifiche solo sulla stampa e mira, in sostanza, ad eliminare i controlli di tipo poliziesco (autorizzazioni, censure…) introdotti dal fascismo. Ciò spiega anche la particolare attenzione rivolta alla problematica relativa ai casi di sequestro. Di speciale interesse è il penultimo comma, il cui dettato è in funzione della trasparenza dei mezzi di finanziamento della stampa periodica; si tratta di una norma tesa a salvaguardare il diritto del cittadino-lettore di conoscere quali interessi (economici, politici o di qualsiasi altra natura) sostengono il giornale che egli acquista, posto che gli assetti proprietari delle testate giornalistiche influiscono, com’è ovvio, sugli orientamenti che le stesse assumono. La norma tende altresì ad impedire aventuali finanziamenti occulti con finalità illecite. In questo medesimo ambito normativo si collocano le disposizioni legislative tendenti ad evitare la concentrazione delle testate giornalistiche e a regolamentare la diffusione delle emittenti radio e televisive, nel senso di impedire che l’informazione venga controllata da poche centrali, garantendo viceversa, in condizioni paritarie e di trasparenza, spazio, libertà e autonomia ai soggetti che fanno informazione, sì da realizzare il necessario pluralismo nel sistema dei mezzi di comunicazione. Va detto che una disciplina compiuta dell’editoria è intervenuta solo nel 1981, con l’istituzione dell’autorità garante, cui spetta il potere di dichiarare nulle le cessioni di testate giornalistiche qualora determinino una posizione dominante nel mercato editoriale. Inoltre, per quanto riguarda il settore delle comunicazioni radio-televisive, soltanto con la Legge n. 249 del 1997 è stata istituita l’Autorità per le garanzie delle comunicazioni con il preciso compito di vigilare sul rispetto del divieto di posizioni dominanti, considerate di per sé ostacoli al pieno realizzarsi del pluralismo dell’informazione. comunicazioni radio-televisive, soltanto con la Legge n. 249 del 1997 è stata istituita l’Autorità per le garanzie delle comunicazioni con il preciso compito di vigilare sul rispetto del divieto di posizioni dominanti, considerate di per sé ostacoli al pieno realizzarsi del pluralismo dell’informazione.

  • Chi scherza col fuoco di Sandra Bonsanti (27 Aprile 2016)

“Ma per favore! Un po’ di serietà. La deriva autoritaria è quella che ha portato il fascismo. Qui non cambiamo nemmeno i poteri del governo. Si può essere d’accordo o meno con la riforma costituzionale, ma proprio il rispetto per la guerra di Liberazione dovrebbe imporci di confrontarci nel merito”.

Non scherziamo, dice il capo del governo al quotidiano “la Repubblica” il 25 aprile. Non vogliamo mica paragonare la mia riforma con i provvedimenti che portarono al fascismo…Rispettiamo -dice sempre Renzi- la guerra partigiana e non facciamo confronti.

Sono in molti, compresi i costituzionalisti dell’appello moderato, a prendere in apparenza le distanze da preoccupazioni politiche sulle conseguenze che lo stravolgimento della Costituzione e la nuova legge elettorale potrebbero avere sulla democrazia italiana. Preoccupazioni che, invece, altri -da tempo- insistono a sottolineare.

E’, dunque, un’esagerazione o un tentativo di sviare l’attenzione, la denuncia del rischio autoritario? Questo timore è frutto soltanto di una maldestra propaganda dei sostenitori del No?

Io credo che si tratti semplicemente di quanto si voglia sottolineare la grande incertezza del tempo presente e di quanto, in anni così imprevedibili e violenti, sia giusto mettere lo Stato, le Istituzioni, alla mercé di una riforma che -su questo punto l’accordo degli specialisti è generale- nel migliore dei casi produce un “appannamento di alcuni criteri portanti dell’impianto e dello spirito della Costituzione”, mette la nomina del presidente della Repubblica e di una parte del Csm “nella sfera di influenza dominante del Governo attraverso il controllo della propria maggioranza, specie se il sistema di elezione della Camera fosse improntato (come è, secondo la legge da poco approvata) a un forte effetto maggioritario”.

Chi è, allora, che scherza col fuoco?

Un po’ di serietà la chiediamo noi al governo, il 25 aprile e tutti i giorni dell’anno. Moderati e meno moderati, noi del NO, non ci sogneremmo mai di paragonarci ai partigiani o di dire che oggi c’è il fascismo. Quando ero bambina i partigiani fiorentini mi salvarono dagli ultimi tedeschi in città, nei giorni della Liberazione, e salvarono mia madre, ebrea, da Auschwitz. Ma tanti storici e politici illuminati ci hanno insegnato che la distruzione di una comunità politica e la fine della democrazia sono sempre possibili e non basta che le condizioni storiche siano differenti. Gli avversari della democrazia, scriveva Luciano Gallino, stanno anche dentro di noi…

  • Foro di Bologna, Avv. Tomanelli: Il diritto di satira

Saldamente ancorata ad una tradizione millenaria, la satira costituisce la più graffiante delle manifestazioni artistiche. Basata su sarcasmo, ironia, trasgressione, dissacrazione e paradosso, verte preferibilmente su temi di attualità, scegliendo come bersaglio privilegiato i potenti di turno. Anzi, più in alto si colloca il destinatario del messaggio satirico, maggiore è l’interesse manifestato dal pubblico. Quella politica, infatti, è di gran lunga il tipo di satira che raccoglie maggiore interesse e consenso presso ogni collettività.

Essendo una forma d’arte, il diritto di satira trova riconoscimento nell’art. 33 Cost., che sancisce la libertà dell’arte. Ma è una forma d’arte particolare. Il contenuto tipico del messaggio satirico è lo sbeffeggiamento del suo destinatario, che viene collocato in una dimensione spesso grottesca. La satira mette alla berlina il personaggio al di sopra di tutti, l’intoccabile per definizione. Esalta i difetti dell’uomo pubblico ponendolo sullo stesso piano dell’uomo medio. Da questo punto di vista, la satira è un formidabile veicolo di democrazia, perché diventa applicazione del principio di uguaglianza. Non a caso è tollerata persino nei sistemi autoritari, fortemente motivati a mostrare il volto “umano” del regime.

Ma proprio perché trova la sua ragion d’essere nello sminuimento del soggetto preso di mira, il messaggio satirico può entrare in conflitto con i diritti costituzionali all’onore, al decoro, alla reputazione, etc. Dunque anche qui, come per la cronaca e la critica, occorre procedere ad un bilanciamento degli interessi in conflitto. Bilanciamento che dovrà tenere conto delle peculiarità dell’opera satirica.

Peculiarità che fanno dell’interesse pubblico, riferito al personaggio rappresentato, il solo parametro di valutazione della legittimità della satira. Con un significato diverso, più ampio rispetto a quello assunto nella cronaca e nella critica. Il termine “interesse pubblico” viene qui adoperato al solo scopo di identificare il problema, poiché mal si concilia con la funzione della satira, che non è quella di fornire “notizie”.

Difatti, la giurisprudenza preferisce parlare di qualità della dimensione pubblica del personaggio, relazionandola al contenuto artistico espressivo del messaggio satirico. La satira è lecita se tra i due termini sussiste un nesso di coerenza causale. Si tratta di chiarire cosa debba intendersi per “qualità della dimensione pubblica” del personaggio e per “nesso di coerenza causale”.

La qualità della dimensione pubblica del personaggio va vista come un enorme contenitore dal quale l’artista può liberamente attingere per creare il contenuto dell’opera satirica. In questo enorme contenitore sono raccolti i frammenti checompongono il personaggio, ossia tutte le informazioni di sé che il personaggio, volente o nolente, ha visto fornire al pubblico: le sue fattezze fisiche, la sua mimica facciale, la sua voce, i suoi tic, le sue dichiarazioni, i suoi comportamenti in pubblico, le sue gaffes, i suoi guai giudiziari; e persino i pettegolezzi sul suo conto, se di dominio pubblico. Ebbene, la satira restituisce al pubblico quelle informazioni, quei frammenti, dopo averli mescolati, interpretati, enfatizzati, distorti. In questo modo la loro riproposizione (ossia il contenuto del messaggio satirico) è in coerenza causale con la qualità della dimensione pubblica del personaggio preso di mira. Ed è irrilevante che alcune delle informazioni che confluiscono nel contenitore del personaggio pubblico siano false: la satira non agisce su fatti, ma sulla dimensione pubblica acquisita da un personaggio, che potrebbe non corrispondere a quella reale.

Il significato del “nesso di coerenza causale” tra la qualità della dimensione pubblica del personaggio e il contenuto del messaggio satirico viene meglio colto descrivendo la differenza tra la satira da un lato, la cronaca e la critica dall’altro. Lacronaca si incarica di raccogliere uno ad uno quei frammenti dalla realtà (o presunta tale) ed inserirli inalterati, allo stato puro, nel contenitore, man mano delineando la dimensione pubblica del personaggio. La critica esprime un giudizio su uno o più frammenti inseriti nel contenitore, dopo un’attenta osservazione. Lasatira seleziona alcuni di quei frammenti, ci scolpisce e disegna sopra. Ed è proprio questa attività artistica e artigianale ad essere tutelata dall’art. 33 Cost.

L’intensità del nesso di coerenza causale dipenderà dal grado di “lavorazione” di quei frammenti. Più l’autore interverrà sui frammenti tratti dal contenitore deformando le informazioni sul personaggio (ossia discostandosi dal dato reale o presunto tale), più debole sarà il nesso. E ad una minore lavorazione di quei frammenti corrisponderà, invece, un rafforzamento di quel nesso, che tenderà a far aderire il contenuto del messaggio satirico alla realtà (o presunta tale).

L’importante è che i frammenti “lavorati” dalla satira siano stati prelevati dal contenitore del personaggio pubblico. Non sarebbe lecita quella satira che agisse su frammenti “estranei” al contenitore. Per fare un esempio, si pensi alla satira su un personaggio del calibro di Silvio Berlusconi, il cui contenitore è certamente molto voluminoso. E’ difficile fare esempi di satira illecita su Berlusconi, poiché i frammenti su cui lavorare sono numerosissimi. Provandoci, non sarebbe lecito ritrarlo oggi mentre si gioca la moglie in una partita a carte, poiché difetterebbe il nesso di coerenza causale. Ma la gag diverrebbe lecita se domani, per ipotesi, si venisse a sapere del suo tentativo, seppure scherzoso, di ingraziarsi il premier di uno Stato estero offrendogli la compagnia della moglie, nella speranza di poter entrare nel progetto di privatizzazione della televisione pubblica di quello Stato. Ciò che nella satira viene legittimamente rappresentato, nella cronaca o nella critica diverrebbe ingenua e clamorosa diffamazione.

Tuttavia, a volte la lavorazione è così accurata da dare l’impressione che l’autore non abbia adoperato frammenti raccolti dal contenitore e che abbia inserito nel messaggio satirico informazioni nuove. Il problema della legittimità della satira è tutto qui. Bisogna cioè prestare la massima attenzione e verificare se il contenuto del messaggio satirico sia il prodotto della lavorazione di frammenti presenti nel contenitore, oppure il risultato dell’inserimento di un frammento estraneo che, in quanto tale, non può garantire al messaggio alcuna coerenza causale con il personaggio pubblico.

E’ chiaro, quindi, che la creatività adoperata dall’autore satirico nel lavorare i frammenti presenti nel contenitore va tutta a suo rischio e pericolo. Un’eccessiva lavorazione potrebbe non essere compresa dal pubblico, ma soprattutto dal giudice, che potrebbe non scorgere il nesso di coerenza causale, scambiando i frammenti prelevati dal contenitore e lavorati dall’autore per frammentiestranei, e rinvenendo così gli estremi della diffamazione.

A maggior ragione, la satira non può pescare in un contenitore vuoto. Non può prendere di mira soggetti privi di dimensione pubblica. Nessuna gagsoddisferebbe il requisito di coerenza causale laddove non esiste il “personaggio”. Qui la satira utilizzerebbe frammenti, informazioni che necessariamente rientrano nella sfera privata di un soggetto, o rinuncerebbe ai contenuti limitandosi a strumentalizzare il nome o le sembianze di quel soggetto, che si vedrebbe leso in entrambi i casi quantomeno nel proprio diritto alla riservatezza. Allo stesso modo, non potrebbe ritenersi lecita la satira su un personaggio pubblico che utilizzasse informazioni rientranti nella sua sfera privata e non di dominio pubblico. Neanche qui sussisterebbe il nesso di coerenza causale, poiché la sfera privata del personaggio pubblico è intangibile quanto quella della persona anonima.

Quanto detto porta alla conseguenza più importante: nella satira non esiste l’obbligo di rispettare la verità dei fatti. Anzi, caratteristica principale della satira è proprio la deformazione della realtà, la sua rappresentazione in termini paradossali, a cominciare dalle vignette caricaturali e dalle maschere sceniche che stravolgono i (reali) tratti somatici dei personaggi noti. Parte della satira di Gene Gnocchi si basa sulla attribuzione a personaggi reali di specifici fatti clamorosamente falsi, la cui narrazione è sempre accompagnata dal suo ostentato sforzo di renderli credibili.

Ciò non toglie, però, che l’autore possa, per libera scelta artistica, basare il contenuto artistico espressivo dell’opera satirica sulla verità dei fatti, rinunciando ai più ampi spazi creativi che il ricorso al concetto di coerenza causale gli garantirebbe. E’ la cosiddetta “satira verità”, spesso creata a fini di denuncia sociale, che poggiando sulla verità dei fatti è al contempo espressione della libertà di pensiero di cui all’art. 21 Cost. Rinunciando allo stravolgimento dei fatti, la “satira verità” è, giuridicamente parlando, una forma di satira a basso rischio di lesività, proprio perché trattiene le potenzialità insite nella satira tradizionale.

La satira verità non va assolutamente confusa con la “satira informativa”. Sono due concetti distinti e con funzioni diversissime, ma che in alcuni ambienti retrivi si tende ad assimilare a fini di censura. Si dirà in seguito della differenza tra Satira verità e satira informativa. Qui basti precisare che la decisione di aderire alla realtà, o di stravolgerla, rientra nella facoltà di scelta artistica dell’autore,insindacabile ex art. 33 Cost. Perché la satira verità, in quanto arte, non risponde ad esigenze informative.

D’altra parte, che la satira non debba essere vincolata al rispetto del requisito della verità lo impone anche una considerazione di ordine logico. La satira interviene a contenitore già riempito, ossia a dimensione pubblica acquisita. Interviene su quegli aspetti del personaggio che, grazie alla cronaca, sono ormai di dominio pubblico. Il rapporto della satira con il fatto è mediato dalla cronaca, poiché la qualità della dimensione pubblica del personaggio preesiste al messaggio satirico. L’eventuale obbligo di rispettare la verità dei fatti costringerebbe l’autore satirico a compiere quella attività di ricerca e di verifica delle fonti che spetta al giornalista, dando luogo così ad una paradossale confusione di ruoli.

Così, agirà pur sempre nei limiti del diritto di satira l’autore che utilizzi frammenti presenti nel contenitore (ossia informazioni di dominio pubblico) ma inserite illecitamente perché non vere o prive di interesse pubblico secondo i principi generali del diritto di cronaca. Ipotesi, peraltro, piuttosto teorica, poiché bisognerebbe immaginare uno spiegamento di forze mediatiche che, commettendo il medesimo errore, creino ex novo una dimensione pubblica o quantomeno ne distorgano la qualità.

La dimensione pubblica del personaggio, ossia la capienza del contenitore da cui l’autore satirico attinge per le sue creazioni, dipende da vari fattori. Principalmente dal ruolo pubblico e dal comportamento del soggetto. E’ il politico il miglior ispiratore della satira, poiché, essendo un soggetto ad alta dimensione pubblica, fornisce all’autore ampia libertà nella creazione di contenuti in coerenza causale con essa. E’ dunque nella satira politica che l’autore può meglio liberare la propria creatività. Tra l’altro, è un particolare atteggiarsi dell’uomo politico a renderlo bersaglio privilegiato della satira. Non è un caso, ad esempio, che Silvio Berlusconi, durante la sua lunga permanenza a Palazzo Chigi, sia stato conteso da vari autori satirici. Non certo per una loro presunta riconducibilità a determinate posizioni politiche, ma semplicemente per le opportunità creative garantite dall’ampiezza e dalla costante caratterizzazione della sua dimensione pubblica.

La libertà di creazione sfuma man mano che l’autore predilige figure “a basso profilo”. Con questo “scendere”, infatti, l’autore satirico si confronta con dimensioni pubbliche sempre più povere, che garantiscono contenuti satirici tendenzialmente monotematici. Il presentatore Rai Luca Giurato viene preso di mira da “Striscia la notizia” con micidiale frequenza, ma solo per gli strafalcioni grammaticali e la scarsa concentrazione che manifesta nella conduzione dei suoi programmi. Il contributo che Antonio Zequila (detto anche “Er mutanda”) e quelli come lui apportano alla satira deriva solo dalle loro sporadiche esibizioni trash in televisione. Stessa cosa per la satira della “Gialappa’s Band” quando verte sui protagonisti di reality come “Il Grande Fratello” e simili.

Si tratta, cioè, di personaggi a dimensione pubblica evanescente, che stimola una satira di scarsi contenuti (ma che tuttavia può risultare piacevole), in cui prevale la mera riproposizione al pubblico del comportamento di soggetti che in sostanza fanno il verso a sé stessi e che occasionano la satira per il solo fatto di mostrarsi in video. E’ una satira di tipo parassitario, dal contenuto prevedibile, costretta a reiterare il solo messaggio in grado di porsi in coerenza causale con la qualità della dimensione pubblica del soggetto preso di mira.

Ma è possibile che la satira, anziché attingere dal contenitore di un personaggio pubblico esistente, crei essa stessa il personaggio e ne alimenti nel tempo la dimensione pubblica. Si ricorderà il “caso Randine”, occasionato da una trasmissione de “Le Iene” dell’autunno 2000. Enrico Lucci, recatosi in una discoteca romana frequentata da vip in credito col successo, si imbatteva nello sconosciuto Tony Randine, sedicente “nobile modello attore amico di Confalonieri”, al quale concedeva una spassosa intervista. Grazie anche alla sua magistrale ironia, con quell’intervista Enrico Lucci lanciava il personaggio di Tony Randine, che nei mesi a venire verrà impietosamente bersagliato da “Le Iene” e dallo stesso Lucci come simbolo della vacuità. Si arriverà persino all’incisione di un CD musicale: il “Randidance”.

Per il “caso Randine” non ha senso parlare di nesso di coerenza causale, poiché il concetto implica la preesistenza della dimensione pubblica rispetto alla creazione della satira. Qui, invece, il rapporto è rovesciato. E’ la dimensione pubblica di Tony Randine ad essere stata creata e alimentata dalla satira de “Le Iene”, a partire dalla iniziale gag nella discoteca romana. Tony Randine esisteva solo nella misura in cui confluiva nel contenuto della satira de “Le Iene”.

L’insistenza di Tony Randine nel richiedere la prima intervista nella discoteca romana, insieme al suo atteggiamento tipico di chi cerca notorietà (quindi dimensione pubblica), ha senza dubbio determinato la legittimità della successiva satira, il cui contenuto era in gran parte ritagliato proprio su quell’atteggiamento. Conclusioni opposte andrebbero tratte se l’intervista fosse stata “strappata” a Tony Randine e su quell’episodio si fossero inserite le successive gag. Ponendolo prepotentemente all’attenzione del pubblico, “Le Iene” avrebbero violato il suo diritto alla riservatezza.

A volte la televisione offre un tipo di satira dove il nesso di coerenza causale è del tutto mancante. E’ il caso di “Scherzi a parte”, la trasmissione di Canale5 che escogita le gag più assurde ai danni e all’insaputa di personaggi noti. Qui il contenuto del messaggio satirico non manifesta alcuna coerenza causale con la qualità della dimensione pubblica del personaggio, essendone completamente avulso. Vi è la mera strumentalizzazione della notorietà del personaggio per catturare l’attenzione del telespettatore. Le gag non sono in alcun modo ricollegabili alla sua dimensione pubblica, attenendo invece alla sua sfera privata, identica a quella di qualsiasi sconosciuto. La messa in onda delle immagini senza il consenso del soggetto preso di mira darebbe luogo ad una violazione del diritto alla riservatezza.

Infine, la pretesa che la satira si conformi al requisito della continenza formale non potrebbe avere alcun senso. Per sua natura, la satira trasgredisce soprattutto attraverso il linguaggio. E se la continenza formale riguarda tipicamente le modalità espressive, una sua applicazione alla satira si risolverebbe nella totale negazione di quell’arte.

  • Renzi, è tempo di colpire chi molesta l’articolo 21 della Costituzione di Beppe Giulietti, pubblicato su Il Fatto Quotidiano (29 dicembre 2015)

Il Fatto Quotidiano ha già riportato i dati relativi al rapporto 2015 pubblicato da Reporter sans frontiers. Negli ultimi 10 anni sono oltre 700 i cronisti ammazzati nel mondo, 110 solo quest’anno. Si tratta di dati per difetto che non tengono conto di altre decine di vittime, cronisti senza contratto, giovani blogger,militanti dei diritti civili ammazzati per aver tentato di “illuminare” quello che doveva restare oscurato. Secondo altre fonti sarebbero oltre 150 le persone ammazzate perché volevano conoscere e far conoscere alla pubblica opinione. In testa agli elenchi la Siria, l’Iraq, la Francia di Charlie Hebdo, la Somalia, lo Yemen, ma anche Messico e Colombia, dove le mafie e i narcos non gradiscono ficcanaso e maniaci della legalità. Ai dati delle vittime vanno aggiunti quelli dei giornalisti incarcerati; qui spiccano le cifre della Cina, dell’Egitto e soprattutto della Turchia, dove Erdogan sta procedendo, con la complice indifferenza delle istituzioni internazionali, alla cancellazione della libertà d’informazione. Per non parlare dei tanti giornalisti musulmani nel mirino di Assad o dell’Isis, alcuni dei quali sono ancora sotto sequestro, e forse sarebbe il caso di far sentire la nostra voce anche se viene colpito un giornalista di altro colore, altra fede, altro continente…

In Italia, stando al rapporto preparato meritoriamente dall’associazione Ossigeno e dal suo appassionato coordinatoreAlberto Spampinato, sarebbero stati oltre 500 i cronisti minacciati. Sono almeno 50 quelli costretti a vivere sotto scorta o sotto vigilanza, molti di loro hanno dedicato la loro attenzione alle mafie, al malaffare, alle illegalità che minano l’ordinamento democratico e la convivenza civile; senza di loro nulla avremmo saputo di molti degli scandali che hanno deturpato e deturpano, in senso letterale e simbolico, l’Italia.

Il presidente del consiglio Renzi, nella conferenza stampa di fine anno, ha annunciato che il 2016 sarà l’anno della libertà di informazione. Dal momento che il 2015 doveva essere quello buono per “Restituire la Rai ai cittadini” ci sarà consentito un pizzico di sano scetticismo. Se davvero Renzi vuole provarci ci permettiamo di chiedere di porre fine o quanto meno arginare il fenomeno delle cosiddette “querele temerarie”, divenute un vero e proprio strumento di intimidazione nei confronti di chiunque voglia disturbare mafie e malaffare. Al solo annuncio di un’inchiesta su discariche, concorsi truccati, terre di mezzo, illeciti amministrativi, conflitti di interesse, intrecci tra politica e mafie, fioccano le richieste di danni per milioni e milioni di euro. Nessuno chiede la libertà di diffamare, ma qui siamo in presenza di un fenomeno che non riguarda la tutela della dignità, al contrario si vuole ostacolare il diritto di cronaca, impedire l’accertamento della verità, oscurate il diritto della pubblica opinione a essere informata.

Per questo occorre una norma che costringa il “temerario”, in caso di sconfitta processuale, a lasciare la metà della somma richiesta, in una sorta di moderna pena del contrappasso. Se davvero Renzi vuole fare qualcosa di utile, nel 2016 per la libertà di informazione, introduca il reato di molestie contro il diritto di cronaca e tuteli i valori racchiusi nell’articolo 21 della Costituzione, nulla di più, nulla di meno.

  • Turchia: due giornalisti condannati per le vignette di Charlie Hebdo da rainews.it (28 aprile 2016)

Due anni di carcere per i responsabili della pubblicazione sul quotidiano di opposizione Cumhuriyet Tweet Charlie Hebdo un mese dopo la strage: ferita anche la libertà di espressione? Erdogan fa guerra alla stampa, “ergastolo per il direttore di Cumhuriyet”. La solidarietà di Pamuk Turchia. Ancora lacrimogeni contro sostenitori del quotidiano Zaman. Licenziato direttore Turchia: il quotidiano di opposizione Zaman dopo il commissariamento diventa pro-Erdogan Turchia, chiesto l’arresto per due giornalisti di un quotidiano di opposizione 28 aprile 2016 Un tribunale penale di Istanbul ha condannato due giornalisti turchi a due anni di prigione ciascuno per aver illustrato nei loro editoriali a febbraio 2015 una caricatura del profeta Maometto comparsa sulla rivista satirica francese Charlie Hebdo, all’indomani della strage che ne decimò la redazione. I due giornalisti lavorano per il quotidiano turco di opposizione laica Cumhuriyet, Ceyda Karan e Hikmet Cetinkaya e sono finiti sotto processo con le accuse di “offesa ai valori religiosi” e “istigazione all’odio”. Lo riferisce lo stesso Cumhuriyet, il cui direttore, Utku Cakirozer, fu licenziato poche ore dopo la pubblicazione.  Cumhuriyet fu il solo giornale turco che dopo le stragi di Parigi aveva riprodotto una selezione di vignette della ‘edizione dei sopravvissuti’ di Charlie Hebdo, riferisce la stampa di Ankara. Con lui avevano lasciato i vertici del grande quotidiano di Istanbul il direttore della pubblicazione Murat Sabuncu e il direttore amministrativo Ayse Yildirim Baslangic.

  • Gli affari miliardari tra Egitto e Italia che fanno dimenticare i diritti umani di Marina Forti, pubblicato su Internazionale (8 aprile 2016)

Il linguaggio è paludato, ma il senso è chiarissimo. “Il processo di stabilizzazione politica, che ha visto nell’elezione del presidente Abdel Fattah al Sisi il suo momento culminante, si sta riverberando positivamente sull’economia dell’Egitto”: sono le conclusioni dell’ultima “nota congiunturale”, gennaio 2016, pubblicata dalla Italian trade agency, l’ente italiano per il commercio con l’estero. Il lancio di importanti megaprogetti in terra egiziana, dice quella nota, presenta “nuove interessanti opportunità per le nostre imprese”.

“L’Egitto è un’area straordinaria di opportunità. Abbiamo fiducia nella sua leadership, nelle sue riforme macroeconomiche… in favore della prosperità e della stabilità”. Queste invece sono parole del presidente del consiglio Matteo Renzi, pronunciate nel marzo scorso a Sharm el Sheikh durante una conferenza sugli investimenti in Egitto. Quella volta Renzi ha anche lodato la “saggezza” del presidente al Sisi, che lo ascoltava in platea.

Oggi parole simili suonano imbarazzanti. A renderle surreali è il corpo di un giovane ricercatore italiano che porta i segni di “una violenza inumana, bestiale, inaccettabile”, per citare il ministro dell’interno Angelino Alfano. Dopo la scomparsa e la mortedi Giulio Regeni, tra Roma e il Cairo corrono altre parole: indignazione, indagini. “Non accetteremo verità di comodo”, dice il ministro degli esteri Paolo Gentiloni: si riferisce ai primi arresti fatti in Egitto, al tentativo di indirizzare la “verità” verso un fatto di criminalità comune. L’Italia ha mandato i suoi investigatori in Egitto, “vogliamo che i reali responsabili siano puniti”, dice il ministro.

L’Italia dunque chiede “piena collaborazione” alle forze di sicurezza egiziane e il Cairo, forse allarmato dallo scalpore sollevato, promette cooperazione. Già: ma chi ha preso, torturato e ucciso Giulio Regeni probabilmente si trova proprio tra le forze di sicurezza egiziane. I casi di arresti illegali sono innumerevoli, “tortura e scomparse forzate, e molti detenuti morti in custodia”, secondo quanto denunciaHuman rights watch. “Purtroppo Giulio è morto nello stesso modo di molti egiziani”, diceva un amico del ricercatore, durante una veglia davanti all’ambasciata italiana al Cairo.

La sorte di Giulio Regeni, torturato e ucciso al Cairo, scuoterà le solidissime relazioni tra Italia ed Egitto?

“L’Egitto è un nostro partner strategico e ha un ruolo fondamentale per la stabilizzazione della regione”, dice il ministro Gentiloni. Non c’è dubbio: l’Egitto è importante da tutti i punti di vista. È un paese di novanta milioni di abitanti, snodo tra l’Africa e il Medio Oriente – tra la Libia, la penisola arabica, Israele e la Giordania. È indispensabile nella ricerca di un qualche nuovo equilibrio in Libia (il Cairo ha mire storiche di influenza sulla regione orientale, la Cirenaica, e il generale al Sisi ha i suoi alleati da sponsorizzare). È direttamente in causa nel conflitto tra Israele e Palestina, non fosse altro che per il confine con Gaza. È alleato dell’Arabia Saudita, da cui riceve importanti aiuti finanziari e investimenti.

L’Italia è stata il primo paese europeo a ricevere il generale al Sisi dopo la sua presa del potere nel luglio 2013, e Matteo Renzi due anni fa è stato il primo capo di governo europeo a visitare l’Egitto, e poi a tornarci: una legittimazione politica. Anche l’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi incontra spesso al Sisi (l’ultima volta in novembre, prima in ottobre e in agosto). L’Ente italiano per gli idrocarburi è presente in Egitto con investimenti per quasi 14 miliardi di dollari; estrae gas dal giacimento di Nooros, nel delta del Nilo, e petrolio nel deserto occidentale.

Soprattutto, la scorsa estate l’Eni ha annunciato la scoperta di un nuovo giacimento offshore, in una zona di sua concessione nelle acque egiziane del Mediterraneo:chiamato Zhor, ha riserve stimate a 850 miliardi di metri cubi di gas, abbastanza da trasformare lo scenario energetico del paese. Le perforazioni sono cominciate questo gennaio, la produzione comincerà tra il 2018 e il 2019, il picco della produzione è atteso nel 2024. L’Eni sta discutendo con Israele e Cipro per creare un “hub del Mediterraneo orientale”.

Oltre all’Eni, circa 130 aziende italiane operano in Egitto. C’è Edison (con investimenti per due miliardi) e Banca Intesa San Paolo, che nel 2006 ha comprato Bank of Alexandria per 1,6 miliardi di dollari. Poi Italcementi, Pirelli, Italgen, Danieli Techint, Gruppo Caltagirone, e molti altri. Imprese di servizi, impiantistica, trasporti e logistica. E naturalmente il turismo (Alpitour, Valtour): anche se qui le cose vanno male dopo l’attentato a un aereo di turisti russi appena decollato da Sharm el Sheikh l’ottobre scorso.

L’Egitto fa gola. Ha lanciato grandi progetti di infrastrutture: dai porti e zone industriali lungo il canale di Suez appena raddoppiato, ai fosfati estratti nel deserto occidentale, a un nuovo triangolo industriale tra i porti di Safaga ed el Quseir sul Mar Rosso e la città di Qena sul Nilo, fino a una nuova espansione urbana e industriale sulla costa mediterranea intorno a El Alamein. Il governo egiziano conta di investirvi cento miliardi di dollari, promessi in gran parte dalle monarchie del Golfo, e le imprese di tutto il mondo sperano di partecipare alla festa. Geopolitica e investimenti vanno insieme, dalla Cina alla Russia a Francia e Regno Unito: al Cairo c’è la fila.

Fin dove arriveranno le indagini sulla morte di Giulio Regeni? Dipenderà dalla pressione da parte italiana (e non solo: il dipartimento di stato statunitense ha intenzione di sollevare il tema dei diritti umani in due incontri previsti questa settimana, riferisce il New York Times).

Un’ipotesi? Le indagini congiunte si trascineranno per qualche tempo. Se si sentiranno davvero sotto pressione, le autorità egiziane arriveranno a concedere che è stata opera di elementi “deviati”: ma anche questo è poco probabile. Nel migliore dei casi si troverà qualche “esecutore materiale”. Poi prevarrà “il comune interesse alla stabilità”. La missione di imprenditori con la ministra dello sviluppo economico Federica Guidi, interrotta bruscamente la settimana scorsa, sarà stata semplicemente rinviata di qualche settimana, forse mesi. Ricercatori o giornalisti free lance sono avvertiti, meglio non toccare temi “sensibili”.

  • Tre NO al Trattato transatlantico di Laurent Joffrin per Liberation (Francia) pubblicato su Internazionale (29 aprile/5 maggio 2016)

Per com’è stato proposto, il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Ttip) è inaccettabile. Durante la sua ultima visita in Europa il president Barack Obama ha sollecitato la sua approvazione, ma il governo francese e la Commissione europea dovrebbero opporre a questo tentative ossessivo, dogmatico e pericoloso un triplo no.

NO all’allucinante segretezza che avvolge la questione. Certo,sappiamo che in ogni caso l’accordo dovrebbe essere approvato dai governi edai parlamenti eletti dai cittadini. Ma per quale motivo i cittadini europei, che sono i diretti interessati, dovrebbero continuare ad ignorare trattative su cui hanno il diritto di dire la loro, prima che si arrivi a una stesura definitiva?

NO all’indebolimento delle norme sanitarie e ambientali, l’inevitabile risultato di un compromesso con una Potenza mondiale che su questi temi è meno esigente dell’Europa.

NO all’assurda clausola sugli arbitrati, che sottometterebbe gli stati democratici alle decisioni prese da tribunali privati che non hanno nè rappresentatività nè legittimità e che seguono solo la loro fede nel libero scambio, al di fuori di qualsiasi considerazione sociale o ambientale. C’è bisogno di ricordare che un tribunale del genere ha condannato il governo australiano per aver approvato norme contro il fumo che danneggiavano gli interessi delle multinazionali del tabacco?

TUTTI sanno che lo sviluppo del commercio mondiale è un fattore di crescita, che la specializzazione delle economie aumenta la produttività e che in molti casi è più conveniente importare un prodotto che non si è in grado di produrre a un costo soddisfacente.

MA questa legge fondamentale del commercio presenta anche dei gravi inconvenienti se si spinge ad abbassare gli standard, a devastare intere regioni  o a concedere poteri esorbitanti alle grandi aziende.

  • Voltaire: Disapprovo ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo.
  • Dal film “Milk”: Se non ti mobiliti per difendere i diritti di qualcuno che in quel momento ne è privato, quando poi intaccheranno i tuoi, nessuno si muoverà per te. E ti ritroverai solo.
  • Vescovo Desmond Tutu: Io non sono interessato a raccogliere briciole di compassione gettati dal tavolo di qualcuno che si considera il mio maestro. Voglio il menu completo dei miei diritti.
  • Immanuel Kant: La violazione del diritto avvenuta in un punto della terra è avvertita in tutti i punti.
  • Mahatma Gandhi: Non vale la pena avere dei diritti che non derivano da un dovere assolto bene.
  • José Marti: Chi ottiene un diritto non ottiene di violare quello degli altri per mantenere il suo.

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